Pianisti all’Opera: JONATHAN SANTAGADA

Dopo il successo e l’interesse suscitato dall’intervista a Paolo Villa ho deciso di continuare a raccontare le storie di musicisti che hanno affrontato la professione di maestro collaboratore in Italia o all’estero. Una figura complessa, quella del maestro collaboratore: dalle conversazioni scaturite qua e là su questo blog, nella pagina facebook correlata o nelle chiacchierate tra colleghi si evince che la parola più adatta per descrivere questo musicista sia VERSATILITA’. Un lavoro complesso e sfaccettato che per la maggior parte si svolge dietro le quinte, ecco perché Pianisti all’Opera si propone di far conoscere il più possibile la professione e i suoi protagonisti portandoli finalmente sotto i riflettori. Ed è con grande piacere che oggi vi presentiamo la nostra intervista a Jonathan Santagada, maestro collaboratore, pianista e direttore d’orchestra attualmente impiegato presso il Covent Garden di Londra.

Jonathan Santagada si è specializzato nella professione di maestro collaboratore presso il Teatro Lirico Sperimentale “A. Belli” di Spoleto dopo aver conseguito il diploma di pianoforte presso il Conservatorio G. Verdi di Torino e il perfezionamento pianistico presso il Conservatoire Supérieur de Musique di Lione. In qualità di pianista e direttore d’orchestra ha collaborato con prestigiosi teatri quali il Teatro di Basilea, il Teatro Regio di Torino, l’Opera North e il Covent Garden, dove lavora tuttora. 

Chi sei?
Non è facile descriversi, oggi ti risponderei un direttore d’orchestra ma credo che musicista sia la definizione che più mi piace, sono riuscito a farmelo scrivere perfino sulla carta d’identità. Il funzionario insisteva che dovevo essere iscritto all’albo, come un avvocato…alla fine lo convinsi!
L’opera che ami di più?
Tosca
Perché?
Perché c’è tutto, è un thriller, è un film dall’inizio alla fine, ogni singola nota la puoi “vedere”, temi di una bellezza incredibile e personaggi di una forza comunicativa straordinaria. Ho sempre sognato di dirigerla e adoro suonarla.

Come sei diventato un maestro collaboratore? Caso, passione o necessità?
L’inizio è stato casuale, nei dieci anni di Conservatorio non avevo mai sentito queste due parole, sapevo che alcuni pianisti, quelli meno bravi,  “accompagnavano i cantanti”, ma nulla di più. Dopo il biennio scoprii per caso il corso per maestri collaboratori del Teatro Lirico Sperimentale “A. Belli” di Spoleto, andai a fare l’audizione prendendo un mitico intercity da Torino, che tra l’altro fece un ritardo storico, e vinsi! Mi si aprì letteralmente un mondo, e per una serie di coincidenze diventai il primo pianista delle produzioni, conobbi il M° Marco Boemi che diventò il mio Maestro di direzione e il M° Giuliano Betta con cui collaborai successivamente al Teatro di Basilea. Poi cominciai a fare audizioni in Francia e Inghilterra e iniziai ad avere i primi contratti, quindi presi coraggio e decisi di tentare l’audizione dello Young Artists Programme del Covent Garden.
E quando hai iniziato a pensare alla professione di direttore d’orchestra?
Come molti colleghi sanno, al maestro collaboratore può essere chiesto di dirigere le famose bande di palcoscenico, un lavoro molto delicato che se fatto male può creare danni seri. La prima banda che mi affidarono al Teatro di Basilea fu quella di “Un ballo in maschera”, una delle più ostiche in assoluto. A quanto pare me la cavai e decisero di farmi fare l’assistente per l’opera successiva, “Lo Speziale” di Haydn. La produzione fu un grosso successo e il sovrintendente del teatro decise di aggiungere delle recite per fare cassa, ma in una di queste nuove date il direttore non era disponibile. Nel frattempo avevo cominciato a lavorare come vocal coach al Royal Northern College of Music e mi arrivò una chiamata a sorpresa in cui mi offrivano di dirigere quella recita. Ci pensai un pochino e poi accettai. La recita andò molto bene e da lì cominciai a pensare che quel lavoro potesse fare per me.

Grazie al tuo lavoro hai avuto l’opportunità di vivere in diversi Paesi europei: quali ti sono rimasti nel cuore?
Beh, senza dubbio è d’obbligo iniziare dall’Italia: è un paese straordinario a cui devo moltissimo e di cui sento una nostalgia molto forte. Purtroppo però è una Nazione che ha dimenticato un’intera generazione e in cui il merito non sempre viene valorizzato. All’estero non è tutto rosa e fiori ma si ha la possibilità di provare, di sbagliare, di farsi notare e si riceve una risposta alle e-mail!
Francia e Svizzera invece?
La Francia è un paese che ho imparato ad amare, ma l’inizio non è stato facilissimo…l’Italia aveva appena vinto i mondiali, e io non parlavo una parola di francese. E poi era la prima volta fuori casa, ricordo lo sguardo perso di fronte alla lavatrice…ma durò poco, e penso che quell’esperienza abbia inciso profondamente sulla mia formazione musicale e in qualche modo mi abbia aperto la mente per ciò che poi sarebbe accaduto dopo.
In Svizzera si lavora benissimo, tutto è ordinato, le macchine inchiodano appena metti la punta delle scarpe sulle strisce pedonali e i bambini entrano a scuola in fila per due. Ricordo poi un fiscalissimo doganiere alla stazione di Basilea, controllava tutti e faceva molte domande. Quando arrivò il mio turno gli dissi che ero un musicista e lavoravo in teatro, mi lasciò subito passare guardandomi come se gli avessi detto che ero il Primo Ministro! Magari era solo un amante dell’opera, chissà, però dice molto sul rispetto per la musica che si respira in quel paese. E infatti è l’unica Nazione al mondo che ha l’educazione musicale nella Costituzione! Difetti direi che si paga anche l’aria che respiri e dopo le sei di sera la gente scompare dalle strade, non ho mai capito perché.
E infine l’Inghilterra.
Sì, ci vivo da sei anni e lo considero ormai il mio secondo Paese. Qui la meritocrazia si tocca con mano. Sia al Royal Northern College of Music che al Covent Garden non conoscevo nessuno, ho fatto la domanda online e sono stato invitato alle audizioni. Se devo trovarle un difetto direi senza dubbio il tempo, che non è manco colpa sua per carità, ma a volte supera ogni limite… ricordo un luglio a Manchester coi riscaldamenti accesi! Sul cibo non voglio infierire.

Da musicista espatriata in Germania mi sento di offrirti la mia massima solidarietà in merito. Ma torniamo a noi e alla figura centrale del nostro blog: s
econdo la tua esperienza di pianista, quali sono le qualità imprescindibili che un buon maestro collaboratore deve avere?
Beh, nonostante il luogo comune che ai miei tempi circolava in conservatorio secondo cui i maestri accompagnatori sarebbero pianisti di serie B, indubbiamente bisogna essere degli ottimi pianisti ed essere in grado di imparare molta musica in tempi brevi. Poi bisogna essere in grado di lavorare con i cantanti, essere un po’ psicologi e cercare di ottenere il massimo con i dovuti modi. Non solo: è necessario, ahimè, saper cantare un pochino. Spesso in prova manca un cantante e serve qualcuno che canti le linee mancanti…se non lo fa il direttore tocca al pianista!
Importantissima la prima vista, arriverà sempre l’aria che nemmeno IMSLP Petrucci conosce , ma il cantante si!
Non guastano nemmeno alcune nozioni di direzione: anche se non volete fare i direttori succederà prima o poi che vi chiederanno di dirigere una prova, o un interno di palcoscenico; per trovare più facilmente lavoro inoltre è utile conoscere due o tre lingue – oltre ad essere fondamentale nel lavoro con i cantanti.
Ah, dimenticavo: bisogna ridere alle battute del Maestro. Sempre!

Londra per il mondo del teatro è sinonimo di Covent Garden. Ti rendi conto di lavorare in una sorta di mito, o lavorandoci dall’interno ci si accorge che un teatro vale l’altro?  
Il Covent Garden è sicuramente un posto speciale, per la sua storia e per la qualità dei cast e delle produzioni che vengono messe in scena. Vivere tutto ciò dall’interno è emozionante e allo stesso tempo mette una certa pressione con cui bisogna fare i conti. Alcune recite vanno in diretta mondiale nei cinema, diverse prove vengono filmate e finiscono nei notiziari, alcuni eventi vanno in diretta su youtube, e tu magari rimugini per mesi e mesi su quella notina sbagliata…Quindi credo che onestamente la risposta sia si, si percepisce di essere in un teatro speciale.

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Inoltre in un teatro del genere hai la fortuna di fare musica con grandi Maestri, no? Leggo che parte del tuo lavoro consiste nell’affiancare Antonio Pappano nelle sue produzioni. Com’è lavorare con lui?
Lavorare con Antonio Pappano è certamente un’esperienza unica. Ho avuto la fortuna di lavorare moltissimo con lui, in questi giorni stiamo facendo “Lady Macbeth of Mcensk” di Shostakovich ed è la mia decima produzione con lui! Ha un carisma enorme e riesce ad ottenere dall’orchestra e dai cantanti sempre il massimo – e anche da noi! Oltre ad essere famoso come direttore lo è anche come pianista, la mia prima opera in cui feci il “chief repetiteur” con lui fu una nuova produzione del “Guglielmo Tell”! Puoi immaginare quanto fossi rilassato!
Altre superstar degne di nota?
Sicuramente Jonas Kaufmann, lavorare con lui in Andrea Chénier e Otello è stato incredibile. E’ un artista completo, preparatissimo e di una musicalità rara. Però nei dovrei citare tanti altri….posso? Bryn Terfel, Anna Netrebko, Ermonela Jaho, Joyce DiDonato, Sondra Radvanovsky, Sonya Yoncheva, Alessandro Corbelli, Ildebrando D’Arcangelo, Gerald Finley…
Le porte del Covent Garden ti sono state aperte grazie al programma per giovani artisti “in residence” Jette Parker. Come funziona? E’ stato utile?
Il programma Jette Parker del Covent Garden è strutturato in maniera tale da fornire il massimo delle opportunità a cantanti, registi e pianisti/direttori. Si viene immediatamente immersi nel mondo del teatro, il programma è parte integrante della macchina teatrale; i cantanti cantano i ruoli comprimari nelle produzioni e fanno i cover per i ruoli più grandi, i pianisti/direttori suonano immediatamente nelle prove di scena e musicali, dirigono gli interni, suonano in orchestra, fanno i suggeritori all’occorrenza, e hanno l’opportunità di dirigere due produzioni dello “Young Artist” più due gala nella sala principale con l’orchestra del teatro. E trovarsi su quel podio, con l’orchestra della Royal Opera House,  fa una certa impressione!

Futuri progetti?
Questa estate dirigerò “Madama Butterfly” e “L’elisir d’amore” per il Mediterranean Opera Festival in Sicilia, “Henry V” di William Walton al New Generation Festival a Firenze, e poi dirigerò la mia amata “Tosca” all’Opera North in autunno. Come assistente  lavorerò all’Opéra National de Paris con il M° Nicola Luisotti, al Teatro Real di Madrid con il M° Maurizio Benini e poi tornerò per altri progetti al Covent Garden.

Cosa raccomanderesti a un giovane musicista che voglia affacciarsi al mondo dell’opera?
Consiglierei di essere molto convinto di voler fare questo lavoro, deve essere un mestiere per cui non si  può fare a meno, non è un lavoro normale, e bisogna accettare che inevitabilmente la vita inizierà a girare intorno all’opera. Detto ciò cercate subito delle opportunità di entrare a contatto con i teatri,  eviterei di collezionare bienni in Conservatorio e di rimanere parcheggiati in corsi e master spesso molto costosi e tenuti da chi il lavoro non lo fa!

[Intervista a cura di Margherita Colombo per Pianisti all’Opera]

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