Rossini in atto unico

Le farse rossiniane sono le cinque opere in un atto unico del compositore pesarese: il termine farsa non viene usato nell’accezione corrente di “burla, opera scherzosa”, ma identifica un genere musicale teatrale con caratteristiche ricorrenti: struttura in un atto, numeri musicali chiusi inframmezzati da recitativi secchi, elementi tematici tipici della commedia e durata contenuta.

Come osserva Bruno Cagli, la durata delle farse rossiniane è pressoché identica: circa 85 minuti, recitativi compresi. E’ possibile ipotizzare che gli impresari teatrali richiedessero una durata ben precisa per esigenze di botteghino, ma è anche lecito immaginare che la struttura che aveva in mente Rossini coincidesse perfettamente con questa durata. Se osserviamo i cinque atti da vicino, è impossibile non notare analogie con le sue opere buffe più estese: quasi delle miniature teatrali dei suoi capolavori in più atti.

La struttura delle opere e la composizione dei personaggi delle cinque farse è molto simile: una sinfonia o ouverture seguita da 7-8 numeri chiusi che includono arie solistiche, duetti e almeno un importante numero d’assieme caratterizzato da grande vivacità, oltre al finale con lo scioglimento dell’intreccio. Il cast è normalmente composto dalla tradizionale coppia di innamorati soprano/tenore, una coppia di baritoni/bassi buffi in contrapposizione e due comprimari “di servizio” (di solito uomo/donna).

L’orchestra prevede normalmente un ensemble agile: archi, 1-2 flauti, 2 clarinetti, 2 oboi (anche corno inglese in Scala di seta), fagotto, 2 corni.

L’edizione di riferimento è la Ricordi: ecco dove trovare l’essenziale per lavorare sulle bellissime farse di Rossini!

  1. La cambiale di matrimonio (1810)
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  2. L’inganno felice (1812)
    Materiale disponibile su imslp.com
  3. La scala di seta (1812)
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  4. L’occasione fa il ladro (1812)
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  5. Il Signor Bruschino (1813)
    Spartito canto e piano
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Spunti di lettura

Per leggere e approfondire la storia e il personaggio del grandissimo Gioachino Rossini, ecco qualche bel libro da non farsi mancare:
“Il furore e il silenzio. Vite di Gioachino Rossini ” di Vittorio Emiliani. Seguendo con minuzia le vicende rossiniane, Emiliani compone un quadro vivace e affollato, pieno di dettagli sconosciuti, in cui tratteggia la vita del compositore nel più largo contesto storico e culturale che si trovò ad attraversare.
“Esercizi di memoria. Scritti su Rossini. Un itinerario critico fra testo, musica e performance” di Arrigo Quattrocchi. Esercizi di memoria raccoglie i saggi su Gioachino Rossini scritti da Arrigo Quattrocchi, musicologo e critico tra i più brillanti della sua generazione, nell’arco di tutta la sua carriera. La storiografia idealistica, influenzata da Rossini stesso, stabiliva una corrispondenza fra la sua vocazione per il genere buffo e la sua indole faceta e indolente. La moderna riacquisizione del suo teatro drammatico ha portato a un complessivo ripensamento di questa immagine, restituendo una fisionomia artistica ben più complessa, legata a una personalità sfuggente e nevrotica. 
“L’ultimo spartito di Rossini” (Romanzo) di Simona Baldelli. Cosa si può scrivere di un personaggio di cui si è già detto tutto? Che appartiene all’immaginario collettivo, non solo dei melomani? È stato, probabilmente, l’artista più famoso e osannato di ogni tempo, e già nel corso della sua esistenza. Per lui venne coniato il termine Rossinimania, riferito al periodo in cui si esibì a Vienna. Ogni angolo risuonava della sua musica, le cartoline con la sua immagine andavano a ruba, gli uomini erano vestiti alla Rossini, le donne sospiravano al suo passaggio, i ristoranti avevano piatti a lui dedicati. Una simile smania pervase le altre città in cui visse e lavorò. Tutti volevano frequentare quel musicista gioviale, dalla scrittura facile – compose il Barbiere di Siviglia in meno di due settimane – la battuta pronta, amante della buona tavola. E così viene ricordato ancor oggi: un ilare opportunista, un bon vivant. Ma, di fatto, smise di scrivere opere a 37 anni, dopo il meraviglioso Guglielmo Tell, se si eccettuano alcuni componimenti di musica sacra e strumentale. Cosa portò il musicista più famoso del mondo al silenzio?
“Gioachino Rossini” di Gaia Servadio. La vita di Gioachino Rossini è più avventurosa di quella dei quattro moschettieri messi assieme, è un romanzo. Da ragazzino povero a uomo ricco e infelice, da giovane di “sinistra” a vecchio di destra però sempre pronto a sfottere imperatori e impostori. Ci sono più di mille donne nel catalogo di Gioachino, una lista che avrebbe imbarazzato Leporello. Dopo i primi successi è talmente popolare che le ragazzine lo rincorrono per la strada tagliandogli pezzi di vestito da dosso, come succederà con i Beatles, e, se possibile, qualche ciocca di capelli. Lo scrive Lord Byron, furibondo che qualcuno fosse diventato ancora più famoso di lui. Ma il vero fulcro tematico del libro è perché Rossini abbia smesso di comporre all’ancora verde età di trentasette anni. La risposta che dà Gaia Servadio si basa sull’analisi critica di un epistolario trovato solo di recente. Oltre 250 lettere che esprimono bene lo humour feroce del Maestro, le sue passioni nascoste ma anche il male e il bene di vivere. La pazzia e il genio sono fratelli gemelli, non solo in Mozart, ma anche in Rossini.
“Le donne di Gioachino Rossini. Nate per vincere e regnar” di Roberta Pedrotti. Nell’immaginario collettivo l’eroina del melodramma è votata al sacrificio: dalla tisi di Violetta al suicidio di Cio Cio San, per malattia fisica o mentale, per mano propria o altrui, sembra difficile uscire dal cliché che vorrebbe la donna o vittima angelicata o incarnazione del male. Si tratta, tuttavia, di una visione parziale che trova, nella secolare storia dell’opera lirica, numerose eccezioni. La principale di queste è costituita dal catalogo rossiniano, che inanella una serie di ritratti femminili di grande potenza e complessità, tanto che perfino una vittima per eccellenza come Desdemona, nell’opera di Rossini, appare, nel momento fatale, ben più forte e risoluta di Otello. Dalla principessa Lisinga, pronta a impugnare le armi per salvare l’amato in Demetrio e Polibio, fino alla principessa austriaca Mathilde, che abbraccia la causa rivoluzionaria in Guillaume Tell, si susseguono eroine buffe e tragiche che, quale sia la loro sorte, delineano un’immagine della donna ricca di sfaccettature. Fra tutte, Matilde di Shabran, intrepida emula di Armida decisa a sedurre un castellano folle, sadico e misogino e a riportare la giustizia nel suo feudo. L’attenzione è focalizzata proprio ai personaggi femminili delle opere rossiniane, messi a confronto e analizzati per tematiche sia nei testi dei libretti sia nella trattazione musicale rossiniana, attraverso esempi precisi sia per il lettore più smaliziato sia per il meno esperto.
“Il genio in fuga. Due saggi sul teatro musicale di Gioachino Rossini” di Alessandro Baricco. “Il genio in fuga” è un’interpretazione del teatro musicale di Rossini condotta alla luce del sapere filosofico, più con la libertà dell’ermeneutica che secondo le regole dell’indagine musicologica tradizionale. Queste pagine rinviano a quell’irripetibile momento dell’illuminismo in cui l’uomo sperimentò la possibilità di una propria realizzazione nella storia, senza più alcun riferimento con la trascendenza. Baricco dimostra però che in Rossini la soggettività “orizzontale” dell’uomo settecentesco trova una propria conciliazione con l’oggettività tramite una “fuga in avanti” in cui uomo e mondo convergono in una seconda natura, permeata dalla felicità che si raggiunge attraverso un certo abbandono ai territori della follia.
“Vita di Rossini” di Stendhal. Scrive Bruno Cagli nella sua prefazione: «La fonte è la testimonianza diretta del successo di Rossini, il risultato della registrazione di ciò che si diceva, ciò che si pensava, ciò che si discuteva. Se non dilettante a pieno titolo, Stendhal acquisisce il merito di perpetuare ciò che il dilettante prova. Il fascino della ‘Vita di Rossini’ sarà questo: aver visto, giudicato il fenomeno non con l’occhio analizzatore del tecnico e di colui che viene dopo, ma con il gusto e gli scarti di chi lo vede apparire occasionalmente sulla pagina della vita. Nella peregrinazione nella terra dei geni alla ricerca di un loro estremo esemplare, Stendhal si era imbattuto in Rossini. E si era accinto a fermare l’evento con la voce appassionata di quanti altri in Italia assistevano, dall’alto della loro passione per la musica e il bello, a quel medesimo fenomeno». Non biografia dunque, ma diario dell’immaginazione, pamphlet, atto di amore e di fedeltà a ciò che egli stesso definì “la mia follia” e che aveva ritrovato nelle pagine più alte delle opere buffe di Cimarosa e di Rossini: leggibile e godibile al pari di quella Certosa di Parma della quale costituisce un vero e proprio pendant.

[M.C]

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