La figura del maestro collaboratore è ancora, per i non addetti ai lavori, qualcosa di oscuro e sconosciuto. Già il fatto che nel titolo manchi l’indicazione dello strumento lo classifica come un lavoro nebuloso, poco artistico e certamente non sensazionale. Ma chi lavora in teatro sa che il maestro collaboratore (o maestro accompagnatore, o maestro sostituto) è uno dei cardini dell’opera, a partire dalle primissime fasi di studio del ruolo da parte dei cantanti fino alla messa in scena vera e propria dello spettacolo. In Germania si chiama Korrepetitor. Nei paesi anglosassoni Vocal coach. In Francia Répétiteur.
Ma insomma, che fa ‘sto maestro collaboratore?
La risposta è: TUTTO.
Questo blog e la pagina Facebook correlata, dedicati all’opera ma più in particolare proprio alla figura del Maestro collaboratore, vuole portare finalmente i Pianisti all’opera davanti alle quinte: ed è con grande piacere che oggi vi presentiamo la nostra prima intervista a Paolo Villa, maestro collaboratore, pianista e direttore d’orchestra milanese attivo nel suo lavoro principalmente in Turchia.
Dopo gli studi in Pianoforte, Composizione, Clavicembalo, Musica Vocale da Camera e Direzione d’orchestra a Bologna, Chioggia e Milano, Paolo Villa si è dedicato principalmente all’accompagnamento in corsi, masterclass e concorsi nazionali e internazionali. Ha iniziato a lavorare in Turchia nel 2005 presso il Teatro di Smirne come maestro sostituto, cembalista e direttore d’orchestra per poi spostarsi nel 2008 al Teatro di Stato di Istanbul, dove, accanto alla sua attività da direttore d’orchestra, è diventato dal 2015 anche Maestro del coro del Teatro.
Chi sei?
Sembra una risposta ovvia ma quando qualcuno me lo chiede non so rispondere e la prima cosa che mi viene in mente è “musicista”; poi di solito nessuno capisce cosa ho detto e mi chiedono: “ma cosa fai”? Forse perchè ho fatto e voglio sempre fare mille cose diverse o forse perchè credo nella musica la mia risposta è sempre uguale… beh forse non sono un maestro collaboratore modello…
Come sei diventato un maestro collaboratore? Caso, passione o necessità?
All’inizio è stato un caso; ad un corso di perfezionamento pianistico conobbi il maestro Umberto Finazzi; io ero un po’ in alto mare pensando ad una mia eventuale carriera come solista che non decollava e parlando mi disse: “Io faccio dei corsi estivi per maestri collaboratori, ci divertiamo…se vuoi vieni”. Ed è stata la folgorazione.
Definisci il tuo lavoro in tre parole.
Appassionante, unico e adatto solo a persone con un pizzico di follia.
La partitura che ami di più?
La “Bohéme” di Puccini.
Perché?
È forse una delle poche partiture che ho avuto modo di suonare, dirigere e prepararne il coro; l’ho studiata ed eseguita mille volte ma mi da sempre tantissime emozioni e alla fine piango sempre come un bambino.
Fare il maestro collaboratore: una professione che si impara a scuola o si vive sul campo?
Il mio primo maestro di direzione d’orchestra mi disse che la direzione l’avremmo imparata 50% a lezione e 50% con le figuracce davanti all’orchestra…Sì, bisogna studiare (e tanto) ma per il nostro lavoro l’esperienza sul campo è stata per me l’80%.
Da oltre dieci anni vivi e lavori in Turchia. Scusa la curiosità, ma come ci sei finito?
Ancora un caso; nel 2005 dopo aver fatto tanti studi e tanti lavori senza mai approdare a nulla di concreto, una cantante di un’agenzia mi disse che una sua vecchia amica pianista a Smirne chiedeva se qualcuno era disponibile ad andare laggiù perché avevano bisogno di un maestro italiano. E così decisi di provare la nuova avventura che mi ha portato appunto prima a Smirne e successivamente a Istanbul.
Essere la persona giusta al momento giusto è spesso un fattore importante nel nostro lavoro! Raccontaci un po’ del tuo lavoro in Turchia.
Un maestro italiano all’estero fa sempre cool e devo dire che la Turchia mi ha dato la possibilità di fare tante cose che in Italia forse non avrei avuto modo nemmeno di provare; forse ho anche un pochino di talento ma ho avuto ed ho incarichi di responsabilità come assistente di direttori d’orchestra, come responsabile per il repertorio italiano e in ultimo come maestro del coro; il lavoro più lungo e faticoso è ovviamente la dizione e cercare di spiegare e far vivere a queste persone quello che noi italiani abbiamo nel sangue: l’opera!
Qualche lato negativo purtroppo c’è: qui il limite maggiore è dovuto al fatto che la cultura e più nello specifico l’ambiente teatrale è tutto gestito dall’apparato statale e, come forse saprete, la politica turca non è molto a favore dell’arte quindi diciamo che si può arrivare fino ad un certo livello poi ci si ferma…e per un romanticone come me questo fa sempre un po’ male, perché la mia voglia di fare musica si scontra spesso con la rigidità burocratica degli impiegati statali…
Il teatro d’opera in un Paese come la Turchia funziona? Non è un tipo di spettacolo troppo lontano dalla sensibilità e dalla cultura del luogo?
Sembrerà strano ma qui ogni opera, balletto o concerto fa sempre il tutto esaurito; certo in un Paese come questo tutta la musica classica rimane un po’ di nicchia ma non ci possiamo lamentare. Bisogna ricordare che qui l’opera ha una storia di circa 80 anni… prima non esisteva se non in forme private alla corte del sultano. In Turchia ci sono 6 teatri d’opera, tutti statali, con programmazioni “classiche” (principalmente opere di repertorio e ogni tanto qualche azzardo tipo Rake’s progress, Ariadne auf Naxos e qualche barocco), tutto eseguito in lingua originale con sovratitoli in turco; c’è anche un piccolo repertorio di opere turche. Istanbul è il teatro più grande; abbiamo una stagione con otto opere (due nuovi allestimenti e sei di repertorio), altrettanti balletti e una stagione concertistica. In teatro lavorano circa cento coristi, altrettanti orchestrali, una quarantina di solisti, sette pianisti, un direttore di coro (io) e tre direttori d’orchestra, più una compagnia di ballo che conta (credo) una sessantina di artisti: la compagnia è fissa, di tanto in tanto viene invitato un direttore ospite ma ormai si tende a fare “tutto in casa”.
Una domanda forse stupida ma d’obbligo: parli il turco?
Si ormai lo conosco perfettamente. Per lavorare all’estero come sai bene è importante parlare la lingua, altrimenti verrai sempre visto come lo straniero che non fa parte di loro…
Se non avessi fatto il musicista chi saresti oggi?
Ringrazierò sempre mio papà che ai tempi del liceo mi disse di continuare a studiare altro nel caso non mi fosse andata bene come musicista; sono diplomato in elettronica e telecomunicazioni, ho continuato a interessarmi ai computer (quest’anno ho avuto la certificazione italiana ufficiale per il programma di notazione musicale Finale) e sì, se non fossi musicista sicuramente mi piacerebbe lavorare nel campo dell’informatica.
Cosa raccomanderesti a un giovane aspirante maestro collaboratore?
Secondo la mia esperienza prima di tutto che ognuno ha la sua strada e bisogna sempre tirare dritto senza fermarsi davanti alle tante difficoltà che purtroppo ci sono sempre; ho amici/colleghi che lavorano alla Scala, in Germania, in America e alcuni che purtroppo non sono riusciti a seguire la loro strada. Io sono finito in Turchia ma sono felice perché posso fare quello che ho sempre sognato.
Per i consigli più terra-terra studiare tanto, tanto, tanto sapendo che nel 90% dei casi sono i maestri collaboratori che fanno l’opera e su di loro pesa tutta la responsabilità della preparazione! Ah, un’ultima cosa: fatevi un corso di psicologia per cercare di capire cosa passa nella testa di certi cantanti…
[Intervista a cura di Margherita Colombo per Pianisti all’Opera]