Questo articolo risale a cinque anni fa. L’avevo scritto per un bellissimo blog intitolato “Le donne visibili”, e il dibattito linguistico sulla declinazione al femminile delle professioni non era ancora così acceso tranne che in un paio di casi (avvocato/a, ministra/o…termini che peraltro molti stentano ancora ad accettare al femminile), e soprattutto ignorava in massa il problema in riferimento alle direttrici d’orchestra, fondamentalmente perché non se ne parlava mai.
La dichiarazione di una direttrice d’orchestra ieri sera al festival di Sanremo però ha riportato questa discussione nel vivo, non solo tra gli addetti ai lavori, ma più o meno a livello nazionale: chiamatemi direttore, perché importa il contenuto, non la forma. Affermazione che ha sicuramente una sua verità ed è sacrosanto ribadirlo, ma oggi come oggi non possiamo ignorare le ricadute del linguaggio nella nostra vita quotidiana. La lingua plasma la società, e forse la collega avrebbe potuto usare la grande visibilità offerta dal palcoscenico dell’Ariston per aiutare la nostra società ancora così resistente all’uso del femminile nelle professioni a fare un piccolo passo avanti nella conoscenza e comprensione del complesso mondo delle donne della musica, a partire dal fatto che il 99% delle composizioni eseguite tutt’oggi siano di uomini, che i libri di storia della musica citino al massimo di sfuggita Clara Wieck e Fanny Mendelssohn solo perché “mogli e sorelle di”, ignorando di fatto un’intera categoria di compositrici, che il mondo del teatro musicale così com’è strutturato oggi è tutto fuorché women-friendly e così via.
Le parole hanno un peso e bisogna avere il coraggio di usarle.
Chiudo questa piccola introduzione e vi lascio alla lettura di…“Ma una direttrice d’orchestra si veste da uomo o da donna?”
Dunque eccomi qui! Donna visibile, invisibile, presente, lontana, tenace, dubbiosa, entusiasta, timorosa, altruista, egoista. Sono una donna. E faccio un lavoro bellissimo di cui vado fiera, la musicista: oltre ad essere un lavoro stupendo in sé, si tratta anche di un’attività che spesso suscita negli altri una grande curiosità, perché in effetti in Italia le professioni legate all’arte sono ancora considerate qualcosa di singolare ed eccentrico. Ma entrando nello specifico del mio lavoro, la curiosità si acuisce talvolta in maniera molto prevedibile.
Ma lasciatemelo ripetere, sono una donna.
Per la prima volta sento di poter esprimere questo concetto in relazione al mio lavoro in totale libertà, proprio perché invitata dalle Donne Visibili a farlo. Perché altrimenti, quando parlo del mio lavoro, la domanda a volte inespressa, a volte appena accennata, ma sempre presente come un macigno su tutte le altre è: “Ma com’è essere donna, in questo lavoro?”.
Sono una direttrice d’orchestra.
“Ma sei famosa?”… No, direi proprio di no. Non ancora almeno. D’altronde, chi mai conosce una direttrice donna se non gli addetti ai lavori? Marin Alsop, Simone Young, Speranza Scappucci tanto per citare le prime tre che mi vengono in mente sono ormai considerate tra le più importanti e apprezzate direttrici d’orchestra del mondo, ma il pubblico medio le ignora e continua a pensare che guidare l’orchestra sia roba da maschi.
Anche voi che mi leggete, probabilmente starete storcendo il naso nel leggere “direttrice d’orchestra”. Ma non si dovrebbe dire “Direttore”? Come “Maestro”, al maschile? In effetti, la tradizione linguistica italiana impone ancora oggi il maschile in molte professioni di carattere manageriale, come se usare il femminile ne svilisse in qualche modo l’autorità. Beh, io non credo proprio che il sesso possa in alcun modo influenzare un mestiere, quindi mi piace declinare al femminile il lavoro che mi riguarda: sono del parere che nominare le cose le renda reali e quotidiane.
Adesso mi viene un po’ da ridere perché il correttore automatico di Word mi sta chiedendo se voglio sempre sostituire “direttrice” con “direttore”. No, caro correttore (o correttrice), grazie.

E allora, parliamone.
Essere donna in una professione come questa porta inevitabilmente ad avere, almeno all’inizio, una buona dose di riflettori puntati addosso. Credo che sia normale: lo stesso capita – ad esempio – alle donne pilota (pilotesse?), manager, giudici, camioniste e così via.
Anni e anni di tv e cinema ci hanno abituati a stereotipi ormai consolidati nel nostro immaginario: la donna manager è sempre magra, bella e inarrivabile, indossa tacco 12 e tailleur, tratta male i sottoposti, è super impegnata, sempre nervosa, stronza e single. Perché gli uomini se li mangia, oppure perché è un iceberg attratto solo dalla carriera. Gli stessi film e serie tv ci ricordano che la camionista invece è nerboruta, tatuata e possibilmente lesbica. La pilota va bene sempre, perché la donna in divisa è sexy a prescindere. La giudice è generalmente una creatura asessuata, arcigna e con la parrucca. Nei film le direttrici d’orchestra non sono ancora arrivate, ma se così fosse sono abbastanza sicura che sarebbero delle virago dal piglio militaresco, attraenti ma algide, passionali ma distanti.
Gli stereotipi ci accompagnano fin da piccole, qualunque sia la nostra personalità: abbiamo – o dovremmo avere – giochi da femmina, comportarci da femmina e pensare a un futuro da femmina; badate, questo non è un discorso femminista basato su generici slogan o modi di dire, ma qualcosa che vediamo ogni giorno, qualcosa che è diventato così normale che non lo vediamo nemmeno più: la nostra società è divisa – anche se a volte inconsciamente – in cose da uomo e cose da donna, che ci piaccia o no, per cui chi spezza questo equilibrio viene per lo meno notato.
Per fare questo lavoro la prima cosa da fare è infischiarsene ed essere consapevoli che anche alla direttrice d’orchestra più famosa del mondo verrà sempre chiesto “Com’è essere donna nel tuo lavoro?”, anche se la direttrice in questione ha appena diretto un concerto alla Scala, o inciso un magnifico cd, o riscoperto un’opera dimenticata: non molto diversamente da quanto accade alle attrici che vengono intervistate per scoprire i segreti della loro dieta anziché parlare della costruzione dei loro personaggi.
La seconda domanda in genere è: “Ma quando dirigi ti vesti da uomo o da donna?”.
E va beh.

Il secondo problema da affrontare è il podio. Tutti, uomini e donne, provano lo stesso panico misto a imbarazzo la prima volta che salgono su un podio di fronte a un’intera orchestra, centinaia di occhi che ti fissano aspettando un tuo gesto. Da donna figlia della società del nostro tempo, a volte può subentrare anche un fastidiosissimo senso di inadeguatezza del tipo sono-troppo-bassa / troppo-grassa / troppo-magra / non-mi-sono-truccata /sono-troppo-truccata / dovevo-vestirmi-in-un-altro-modo, dovuto ad anni di bombardamento sul nostro aspetto fisico. Per fortuna non dura che un istante, perché non è certo il tuo aspetto che deve conquistare l’orchestra: ti senti osservata, perché guardarti è il lavoro dell’orchestra che ti sta di fronte, e se a qualcuno scappa l’occhio in maniera poco professionale non è un problema della direttrice.
Dopo essermi diplomata in direzione d’orchestra mi sono trasferita alla’estero e ho iniziato subito a lavorare nei teatri sia come pianista (Korrepetitorin in Germania, maestro collaboratore in Italia) che come direttrice d’orchestra, cercando di affermarmi sempre di più in questo campo man mano che la mia esperienza e consapevolezza crescevano, fino a diventare Kapellmeisterin in un piccolo ma vivace teatro tedesco. Ho notato che in Italia c’è ancora una maggiore curiosità nei confronti di una direttrice, ma non credo per malafede: penso sia piuttosto un involontario retaggio machista che quasi tutti i maschi italiani si portano dietro – e che le donne, altrettanto involontariamente, incoraggiano. In Germania invece non ho mai avuto l’impressione di essere sbirciata di sottecchi o giudicata per il mio essere donna: forse il pragmatismo tedesco prevale, e purché il leader sia efficiente, a loro non importa di che sesso sia: inoltre avendo i tedeschi la forma “automatica” del femminile -in, il dibattito sulla questione linguistica è pressoché inesistente (Kanzler-Kanzlerin, Dirigent-Dirigentin…). In omaggio alla mia lingua madre gli orchestrali in Germania mi chiamano Maestra oltre che “Frau” Colombo, perché secondo la logica di chiunque (tranne gli italiani) se il direttore è Maestro, la direttrice è Maestra.
Ma c’è differenza tra direttori e direttrici?
Da un certo punto di vista sì. C’è differenza nell’approccio, nello studio, nella sensibilità, nel porsi di fronte alla massa orchestrale. E c’è una grande differenza, grandissima, sul piano fisico. Il lavoro del direttore è quanto di più atletico si possa trovare nel mondo musicale: la sua sola presenza in piedi di fronte a tutti mostra come la figura fisica sia importante nella percezione degli orchestrali (altrimenti staremmo comodamente seduti anche noi, no?). Ma ciò che all’orchestra arriva non è l’aspetto fisico, bensì l’energia che un direttore è in grado di sprigionare dal podio; e per quanto indubbiamente l’energia femminile e maschile siano profondamente differenti, alla fine ciò che crea il risultato è il modo in cui l’orchestra reagisce a tale energia. Del resto, si può dire che un direttore maschio di un metro e novanta e un direttore altrettanto maschio ma piccolo e magrolino abbiano la stessa presenza sul podio? Non ci passerebbe mai per l’anticamera del cervello di censurare il secondo solo in virtù del suo aspetto e del suo “peso” sull’orchestra, cosa che invece accomuna tuttora molte critiche relative alle donne direttrici.
Ma la risposta è sempre e comunque una sola: di fronte all’orchestra è la personalità del direttore a parlare, non la persona. Carisma, energia, competenza fanno la differenza: e non c’è genere che tenga.
[Margherita Colombo]
Non posso che applaudire per la professionalità e il senso dell’umorismo! Vi lascio qui il blog, in caso lettori e lettrici vogliano scoprire altri temi che affrontiamo come Donne Visibili: https://ledonnevisibili.wordpress.com/
E qui la prima pubblicazione di questo articolo: https://ledonnevisibili.wordpress.com/2016/11/14/unadirettricedorchestrasivestedadonnaodauomo/
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Grazie mille Gaia!! Ho rieditato qua e là l’articolo e ho dimenticato di inserire il link all’originale, ti ringrazio!
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