Professione Coach
Toomas Kaldaru è un musicista estone di stanza a Roma da ormai vent’anni: la sua grande esperienza come cantante prima, e come maestro collaboratore poi è ricca di spunti ed esempi per chiunque voglia intraprendere la professione del pianista all’opera!
In particolare, scopriremo l’importanza delle lingue straniere per un maestro collaboratore e le differenze tra due Paesi apparentemente distanti ma…
Buona lettura!
La prima domanda è d’obbligo, leggendo il tuo curriculum: la tua competenza nelle lingue è impressionante! Oltre all’estone, tua lingua madre, parli fluentemente italiano, inglese, tedesco, hai una buona conoscenza di francese, russo e finlandese e addirittura nozioni di giapponese.
Quanto è importante per un maestro collaboratore conoscere le lingue straniere?
Direi che la conoscenza delle lingue e soprattutto un buon istinto linguistico è molto importante. Forse è un mio limite ma non riuscirei a fare il mio lavoro senza conoscere le lingue. La musica vocale e l’opera in particolare, essendo soprattutto teatro, è un genere che ha bisogno della parola, anzi la musica stessa nasce dalla parola per cui è difficile sottovalutare questo aspetto. Quello che penso è che se il compositore ha l’idea di un’opera, è la trama, la situazione drammatica e di conseguenza la parola a fargli scattare l’ispirazione per una certa idea musicale. Almeno normalmente è cosi, sappiamo che in alcuni casi (mi vengono in mente alcune lettere di Bellini) è il contrario, ma ciò è veramente molto raro. Quindi noi come interpreti abbiamo il dovere di far emergere anche questa dimensione della partitura.
Noi maestri collaboratori siamo un po’ come gli avvocati difensori del compositore, dobbiamo operare in modo che i cantanti eseguano e rispettino tutta la partitura, in tutti i sensi. Quindi un maestro collaboratore deve saper lavorare con il testo sotto i vari aspetti – partendo dalla pronuncia e aiutando poi il cantante a trovare il giusto accento drammatico, il ritmo della frase e il fraseggio della lingua. Invidio un po’ i miei colleghi italiani e tedeschi che hanno avuto “in regalo” come lingua madre una delle principali lingue delle opere. Io sono di lingua madre estone e in questa lingua, per usare un eufemismo, c’è ben poco repertorio lirico. Di conseguenza ho dovuto studiare molto di più ma mi ritengo fortunato perché le lingue sono una mia grandissima passione e probabilmente ho facilità nel loro apprendimento: posso sicuramente dire che le mie due passioni sono la musica e le lingue quindi ben pensandoci, due dimensioni che si incontrano e sono in simbiosi nell’opera lirica.
Tornando al lavoro come maestro collaboratore e all’importanza della lingua, quindi direi che la conoscenza di essa è assolutamente necessaria; altrimenti non saprei come lavorare su un recitativo di Mozart ma anche su una scena di Verdi o anche su un’opera di Wagner o Strauss. La questione poi non è ovviamente solo la pronuncia ma è come riuscire a rendere il testo espressivo e pieno di significato così come il compositore ha voluto. Se ci pensiamo, la voce è l’unico strumento che ha il testo come parte integrante del discorso musicale, allora usiamo questa possibilità veramente unica!
E’ chiaro che noi come maestri collaboratori non dobbiamo padroneggiare tutte queste lingue però questo aiuterebbe molto nell’enorme lavoro di preparazione del repertorio. Se io dovessi andare a verificare ogni parola nel dizionario, impiegherei anni per imparare un’opera! Poi, c’è un altro fatto – il lavoro sul testo e la musica dovrebbe essere fatto insieme – se il maestro collaboratore conosce bene le lingue non c’è bisogno di una altra persona che si occupi della dizione. Oggi vedo che molte volte nelle produzioni vengono chiamati i cosiddetti “diction coach” (linguisti) che spesso hanno però un limite: non sono musicisti e alla fine rischiano di creare più confusione che altro.

Estonia e Italia: raccontaci le differenze che vedi nei tuoi due Paesi in materia operistica.
L’Estonia non è un Paese della lirica ma l’opera è molto seguita e molto amata. E’ curioso, ma l’Estonia è uno dei primi paesi al mondo per il numero di recite d’opera per abitante, credo dopo l’Austria. Gli abitanti dell’Estonia sono solo un milione e mezzo e ci sono ben due teatri d’opera con orchestra, coro e ensemble stabili. Vivendo in Italia ormai da 21 anni ho avuto la possibilità di vedere da vicino questi due paesi. A volte ho l’impressione che in Italia l’opera venga considerata un po’ superata mentre in Estonia noto che c’è più interesse e attenzione; oltretutto vengono stanziati molti più fondi più per le accademie di studio e per le produzioni, anche per quelle più piccole.
Per quanto riguarda il lavoro del maestro collaboratore in Estonia c’è molto da migliorare. I pianisti estoni non sembrano apprezzare la figura del maestro collaboratore che viene spesso considerato come un ripiego. Però questa cosa piano piano comincia a cambiare, tanto che oggi all’Accademia di Musica e di Teatro dell’Estonia grazie alla lungimiranza di alcuni professori si sta ampliando l’offerta formativa per questa figura, infatti io stesso mi reco regolarmente presso l’Accademia a tenere dei corsi per pianisti che intendono approfondire la conoscenza dell’opera lirica.
Racconta come ti sei avvicinato alla professione del maestro collaboratore: cosa consigli a un pianista che vorrebbe intraprendere questa carriera?
Già da ragazzo, mentre studiavo il pianoforte, odiavo esibirmi da solo quindi cercavo sempre qualcuno con cui poter suonare insieme. Nella mia classe c’erano un paio di ragazzi che studiavano altri strumenti (flauto o violino), così suonavo con loro e mi divertivo tanto. Mi sono appassionato alla lirica fin da ragazzino – ho cominciato a 11-12 anni a sentire i dischi di Toscanini e mi divertivo a suonare “insieme” ai cantanti, cercando di imitare al pianoforte i colori dell’orchestra. Da quando poi ho cominciato a studiare canto e anche durante la mia attività canora ho sempre continuato a suonare con gli altri. Da studente poi c’erano sempre tanti colleghi che volevano studiare con me, quindi questo “avvicinamento” è avvenuto lentamente e naturalmente. Non c’è stata alcuna difficoltà perché era ed è la mia passione.
Un pianista che vuole intraprendere questa carriera deve innanzitutto amare la voce umana, l’espressione vocale e questo genere artistico. Questo, più che un consiglio è una premessa. Suggerisco poi di ascoltare molto – i grandi cantanti e i grandi direttori, sia attuali sia quelli di una volta. Consiglio anche di ascoltare l’opera nella sua interezza – prestando attenzione alla parte vocale ma anche all’orchestra e al lavoro del direttore. Il secondo suggerimento è abituarsi da subito a leggere a prima vista. Questo è molto importante perché nel nostro mestiere c’è tantissima musica da studiare e si deve imparare a cogliere rapidamente ciò che è importante. E poi ci sono le lingue, l’italiano (gli italiani ovviamente sono fortunati ad avere già una lingua “pronta”), e sicuramente il tedesco senza le quali non si può fare questo mestiere. E se poi si conoscono francese e russo, ancora meglio.
La classica domanda da intervista: quale opera ti porteresti sull’isola deserta?
Ce ne sono due molto diverse e non saprei quale scegliere. Una è Aida di Verdi, perché è stato il mio primo disco d’opera (Toscanini con NBC orchestra), probabilmente l’opera che ho ascoltato di più nella mia vita e ogni volta che la ascolto o ci lavoro è come tornare a casa. La sua ricchezza musicale, dopo 30 anni, mi sorprende ancora. La seconda invece è Capriccio di Strauss – un’opera “non opera”. Infatti Strauss stesso lo chiama Konversationsstück. E’ l’ultima opera di Strauss ed è praticamente una riflessione sul teatro musicale e sulla bellezza, due temi che mi stanno molto a cuore. Commovente nella sua semplicità ed eleganza.
Qual è il tuo teatro del cuore?
Anche qui ce ne sono due – il primo è sicuramente il teatro “Vanemuine” di Tartu, la mia città in Estonia dove ho visto le mie prime opere e nel quale proprio quest’anno ho iniziato una collaborazione continuativa per la preparazione dei cantanti. Per me, tornare adesso in questo teatro è stata un’emozione molto forte che mi ha riportato indietro negli anni.
L’altro è il San Carlo di Napoli – credo che sia il più bel teatro del mondo in una città che adoro. Entrando in questo teatro si viene avvolti da un’atmosfera magica, respirando la storia della lirica. E poi uscendo dal Teatro per continuare la magia… un buon caffé e una sfogliata al Gambrinus!
